“Sette
sani racconti”
Le “strambe” avventure di un gruppo di giovani punk nell’opera prima di “Oskar” Raimondo Barrile
C’erano
una volta i punk. E la musica techno a tutto volume abbinata a concerti di
stentorei gargarismi, fragili ragazzine neroborchiate con le dita sempre nel
naso, cani puzzolenti dediti a vomitare dentro auto che mai venivano lavate.
C’erano mutanti transgenici e marziane bellissime, eroi che sfrecciavano impavidi
in moto sotto la pioggia scrosciante, giornate spese dal tramonto all’alba
su squallide aiuole del centro-periferia e tra discorsi sempre uguali ma infinitamente
ricchi e profondi…C’era questo universo invisibile e palese, fluttuante e
inossidabile, un mondo minuscolo e sconfinato, rimosso e sempre presente,
C’era, e c’è ancora, Chi volesse avvicinarsi senza remore alla conoscenza
di una realtà tanto vicina a noi quanto può esserla quella dei punk di queste
nostre province adriatiche, non ha che da leggere il libro, essenziale e bellissimo,
di “Oskar” Raimondo Barrile Sette sani racconti (Transeuropa, 140 pagine,
£. 20.000) in uscita in questi giorni nelle librerie: vi troverà, tracciato
dal di dentro, il ritratto scanzonato e allegro di un gruppo di giovani che
nei primi anni Novanta cerca di uscire dal grigiore di una – riconoscibilissima
– città piccola e conformista, guidati da una filosofia che si traduce in
prassi di rifiuto, sferzante e radicale, dei valori (post) yuppisti di questa
epoca, Lo schema narrativo segue il filo conduttore di un io narrante che
si rappresenta in terza persona: il protagonista è lui (così
si chiama ed è sempre citato nel libro), attorniato da personaggi dai
soprannomi fantasiosi e solidi quali la tipa negativa, il poeta
e così via. Sulla cover del libro campeggia il primo piano del muso immenso
e mansueto di un cane bianco, uno dei tanti protagonisti del romanzo: i cani,
per una volta, qui la fanno da padroni e, felici, conducono gli umani che
hanno sotto tutela verso il mistero di avventure insondabili.
L’approccio
con queste pagine prive di maiuscole e traboccanti di eroi spavaldi e ributtanti
potrebbe, a tutta prima, ingenerare un vago senso di fastidio: ma, leggendo,
ci si sente incuriositi e attratti dalle storie che si susseguono, vicende
quali quella dei ragazzi del centro sociale che, fatti sgomberare con la forza
e con l’inganno da una casa colonica abbandonata, irrompono nella sala della
giunta comunale riunita al completo per lanciarvi sprezzanti una manciata
di monetine, da cui la reazione rabbiosa degli amministratori cittadini culminata
in una denuncia ( che contempla, tra l’altro, chissà
poi perché, anche il reato di…attentato a corpo politico estero).
Suscita
indignazione il perbenismo dei bravi cittadini che chiamano la polizia per
scacciare i punk intenti al gioco della settimana sulla
pubblica piazza (ma gli agenti intervenuti soccombono di fronte alla controffensiva verbale, surreale e divertentissima,
messa in atto dai nostri). Si impara qualcosa nel leggere della provenienza
sociale dei protagonisti, che sono figli di operai, impiegati, normali lavoratori
(ma questi punk non venivano tutti da famiglie cariche di soldi?). In alcune
situazioni si ritrova Bukowski, impossibile oggetto di desiderio da parte
della tipa negativa (e lui, da anni fantozzianamente innamorato della ragazza,
rimugina:”Questa rincoglionita doveva proprio farsi venire la fantasia di
scopare con un settantenne alcolizzato”).
I
nostri scorrazzano sulla via Emilia anzi sull’autostrada, a bordo di pulmini
dalla incerta propulsione cariche di strumenti musicali, di lattine di birra
– bukowskiane anche queste – e più nostrani Borghetti, verso la mitica Sant’Arcangelo
(anzi, sant’arcangelo), dove una tribù di moderni barbari dall’età imprecisata,
forse ultraquarantenni (altra sorpresa: ma i punk non erano tutti ragazzini?),
ha scelto di insediarsi, dopo aver lasciato nelle transalpine terre d’origine
impiego posizione e reputazione, per dedicarsi di notte all’esecuzione di
una musica così assordante che sembra uscire dalle pagine del libro e, di
giorno, a piccoli utili servizi richiesti dagli indigeni: saldatura di tubi,
riparazioni di macchine (ma i punk non erano tutti sfaticati buoni solo a
strimpellare?).
Alla
fine dei racconti nuove, improbabili, magiche e disgustose avventure si annunciano,
e intanto l’autore ci ha offerto, tra una risata e una sbornia, la lettura
di un pezzo di storia d’Italia recente, nella quale emerge, lucida e spietata,
la critica sia a tanti facili razzismi, padani e non, sia ai vari moralismi
– compreso quello dipietrista – e alle congeneri ipocrisie che continuano
ad allietare gli anni presenti.
Tratto da Nuova Ancona, febbraio
2000